Rifiutiamo le discariche

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1 –In media, il conferimento in discarica dei rifiuti solidi urbani, Rsu, costa tra le 90 e le 140 euro la tonnellata;

2 – viene pagato dai Comuni grazie alla tassa sui rifiuti, oggi TARSU;

3 – il rifiuto pagato dai cittadini e conferito dal comune in discarica o nei centri di compostaggio grigio viene lavorato dai privati (le discariche una volta erano pubbliche, oggi sono per lo più private) e viene trasformato in CSS, combustibile solido secondario;

4 – il titolare dell’impianto di compostaggio o della discarica, prende dunque il rifiuto pagato dai cittadini, se lo modifica, lo rende differente nella forma, ma non nella sostanza (il CSS ha forma granulare ed è formato da umido essiccato, plastiche, carta, cartone, fanghi anche industriali e tossici essiccati) e, grazie a leggi ad hoc, viene venduto ai proprietari di inceneritori;

5 – i titolari di un impianto di compostaggio per la produzione di CSS, in tal modo, guadagnano due volte, una prima volta con lo stoccaggio del rifiuto solido urbano e la seconda volta con la vendita del CSS agli inceneritori;

6 – gli inceneritori bruciano il nostro sacchetto di rifiuti trasformato in CSS e producono energia elettrica;

7 – questa energia elettrica riceve un incentivo pubblico grazie a una normativa che si chiama Cip 6 che autorizza a versare il 7% della nostra bolletta energetica dell’Enel/Eni/Sorgenia o altro,  alle energie rinnovabili;

Il cip 6, col 7% della nostra quota di bolletta, consegna nelle mani della ventina di proprietari di inceneritori in Italia la bellezza di circa 3 miliardi di euro all’anno e lo fara’ per altri 7 anni.

Sono dunque circa 20 miliardi di euro che andranno nelle tasche di pochi e che verranno estorti ai cittadini;

8 – l’Italia è l’unico Paese al mondo che considera energia rinnovabile l’energia prodotta dai rifiuti (è in infrazione europea e per questo è obbligata entro il 2020 a non incentivare più l’energia elettrica prodotta dai rifiuti);

9 – l’energia elettrica prodotta dal nostro rifiuto diventato CSS e finanziata con il 7% della nostra bolletta Enel, viene poi venduta alle società di distribuzione dell’energia elettrica che la rivendono al cittadino che, grazie al suo rifiuto, l’ha prodotta;

10 – quante volte il cittadino paga il suo rifiuto? Prima con la TARSU, poi col 7% della bolletta energetica e poi come energia distribuita;

11 – gli inceneritori producono nanoparticelle (cancerogene) che nessun filtro finora ha dimostrato di poter bloccare;

12 – producono anche polveri, ipa (idrocarburi aromatici), cov (composti organici volatili) e diossina. La diossina viene scissa a 1400° centigradi, ma si ricompone quando i fumi si raffreddono, inquinando i terreni circostanti le fornaci. È uno degli inquinanti più nocivi per la salute umana.

13 – gli inceneritori inquinano anche le falde e ormai, esistono numerosi studi che dimostrano e correlano la presenza degli inceneritori all’incremento di patologie e mortalità;

14 – la bonifica dei siti inquinati la paga il cittadino;

15 – anche a Melfi, l’inceneritore La Fenice, ha inquinato le falde del sottosuolo e il suolo circostante, con i dati del grave inquinamento tenuti nascosti per 9 anni dai governanti della Regione e dal direttore dell’Arpab, Sigillito, attualmente inquisito insieme ad altri tecnici e all’ex assessore Restaino;

16 – La Regione Basilicata, con deliberazione di giunta n.1264 dell’8 ottobre  2013, ha autorizzato l’impianto della Italcementi di Matera, a pochi km dal centro abitato, a bruciare fino a 60 mila tonnellate di rifiuti css (più del doppio rispetto all’attuale portata). A nulla sono valse le osservazioni puntuali, corredate da autorevoli pareri medici sui danni dell’incenerimento dei rifiuti, presentate da cittadini e associazioni ambientaliste di Matera. Una decisone che avrà ripercussioni gravi sulla salute di lucani e pugliesi che abitano le zone limitrofe al cementificio (inceneritore).

17 – non è vero che l’incenerimento dei rifiuti elimina le discariche. Nella realtà le raddoppia, perché ha bisogno della discarica di ingresso, per il conferimento dei rifiuti da bruciare, e di una discarica di uscita, perché un terzo della massa di ciò che si brucia diventa cenere speciale, che si conferisce in discariche speciali (a 400 euro la tonnellata) o viene utilizzato per materiale edile – in Basilicata ce n’è una a Guardia Perticare ed è di proprietà della Semataf di Castellano, socio di Tecnoparco, che di recente è stato arrestato;

18 – il problema si risolve con il porta a porta spinto, a patto, però che:

  • nei piccoli paesi ci si doti delle compostiere di prossimità per produrre bio-compost dai rifiuti organici della comunità;
  • nei paesi più grandi (Potenza e Matera) o in aree comprensoriali come il Metapontino o il Vulture, si realizzino impianto di compostaggio verde anaerobico che siano comprensoriali e che producano bio-compost e che recuperino il biogas che naturalmente si produce dalla fermentazione dell’umido in biocompost;
  • il biocompost e il biogas vadano a compensazione dei costi delle tariffe per la gestione dei rifiuti;
  • gli impianti comprensoriali di compostaggio verde non devono mai essere più grandi della quantità di rifiuti che l’area produce;
  • plastica, vetro, lattine, carta e cartone devono essere immediatamente convertibili dal cittadino, attraverso il loro conferimento in isole ecologiche meccanizzate, in ticket facilmente trasformabili in beni di prima necessità (biglietto di un autobus, spesa a supermercato, nuova bottiglia di birra o di bibita, eccetera);

19 – dopo il Porta a Porta, rimane sempre una frazione di secco che non è riciclabile in alcun modo e che in questa fase va messa in discarica. Questa frazione è però appena il 20, 25% del totale dei rifiuti prodotti  che però non intaserebbero le discariche come invece avviene attualmente;

20 – questa parte di frazione secca può essere eliminata del tutto, arrivando a RIFIUTI ZERO, come da proposta di legge del M5S, quando il Governo incentiverà non l’incenerimento, ma la conversione in un adeguato numero di anni di quegli impianti industriali che producono contenitori, materiali e imballaggi non riciclabili (es: foglio dell’uovo di Pasqua, imballaggio lavatrici/frigo eccetera, tubetto del dentifricio, eccetera) e soprattutto beni più durevoli accompagnati da una cultura propensa al riuso e alla riparazione.

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